L'UGANDA CON GLI OCCHI DI ALESSANDRO AMICO
Ciao Alessandro, piaceri di averti su The Style Researcher Magazine. Siamo rimasti colpiti dal tuo reportage in Uganda. È stata una bella esperienza?
Grazie a voi. È stata, senza dubbio, un’esperienza incredibilmente intensa. Sono tornato a casa con tante immagini nella mia mente e nel mio cuore e, ovviamente, con il famoso mal d’Africa.
Da dove è nata l’idea di andare così lontano? Sei attratto dal continente africano?
L’idea è nata in Armenia. Durante un mio soggiorno in questo meraviglioso paese, ho conosciuto Silvia Viola la responsabile del progetto ROHP che si occupa di sostegno umanitario agli orfani e agli affetti di AIDS, proprio in Uganda. Ascoltando i suoi racconti mi sono appassionato di tutto l’incredibile lavoro che viene svolto e l’idea di andare a testimoniare la realtà ugandese è stata quasi ovvia ad un certo punto. Il continente africano mi ha sempre affascinato e, fotograficamente parlando, anche un po’ spaventato. L’africa è un continente che è stato sovra-fotografato da molti. Se è vero che l’idea di andare a scattare in Uganda mi riempiva di gioia, devo anche ammettere che fino ad allora non avevo mai affrontato la fotografia del terzo mondo, essendo un argomento già abbondantemente affrontato da tanti altri. Questo viaggio è stato, quindi, per me anche una bella prova che devo dire mi ha apportato tanta cose positive come la consapevolezza di una realtà e la riconsiderazione di tante priorità nella mia vita, oltre ad un’incredibile gioia.
Nella foto carcerati ugandesi
Parlaci del reportage. È stato difficile fare le foto? Nel senso, erano disponibili a farsi fotografare?
Scattare in un contesto del genere è sicuramente più complicato di fotografare un modello, ma personalmente l’ho trovato più stimolante. Le persone in Uganda non sono abituate a farsi fotografare; puoi trovare persone molto ben disposte e altre decisamente meno. In linea generale ho deciso durante il viaggio di essere, il più possibile, un fotografo discreto. Ho voluto scattare le persone cercando di evitare l’imbarazzo e la tensione che spesso si crea con una fotocamera.
Le foto che ci presenti qui nel magazine invece? Che differenza ci può essere in un reportage fra una foto “rubata” ed una in posa?
Sono contento di pubblicare questi scatti inediti del mio viaggio in Uganda. Queste foto sono tutte quante scattate dall'interno della macchina con la quale facevamo i vari spostamenti. L’idea è nata semplicemente guardando, da dietro il vetro del finestrino, le varie strade che percorrevamo. Questo mi ha fatto pensare a quanto noi occidentali siamo abituati all’idea di povertà, vista però sempre da uno schermo, a debita distanza. Dentro quella macchina era come se stessi vedendo un lungo documentario, ma questa volta la reale povertà si trovava solamente a un finestrino di distanza da me. Forse, proprio in quel momento, ho percepito più che mai la realtà che mi circondava. Ho deciso, così, di cominciare a scattare le persone che potevo guardare per una frazione di secondo con l’auto in corsa.
Hai avuto un momento in cui, mentre scattavi, ti sei commosso?
Se per commozione intendi le lacrime allora la risposta è no. Non ho mai pianto davanti agli altri. Ma credo che la commozione non esista solo nelle lacrime. Mi sono commosso infinite volte osservando e vivendo questa esperienza.
Il tuo prossimo “continente da scoprire”?
I due prossimi viaggi che vorrei intraprendere sono l’India e il Brasile. In India ho adottato un bambino, ormai ragazzo, a distanza e vorrei tanto conoscerlo. Mentre la cultura Brasiliana mi ha sempre affascinato molto e probabilmente sarà la mia prossima tappa.
Parlando più in generale, hai altre passioni oltre alla fotografia? E quest’ultima, è una passione che ti ha accompagnato fin da piccolo?
Sono appassionato di troppe cose e credo che il comune denominatore tra tutte queste sia la bellezza. Per quel che riguarda la fotografia non riesco a trovare un esatto motivo o un momento che ha dato il via a questa mia passione. Posso solo dire che ho da sempre trovato più facile comunicare per immagini. Una curiosità, però, è che il mio bis-nonno era un fotografo, cosa ho scoperto di recente non avendolo mai conosciuto.
È stato difficile tornare in Italia? Anche se dopo solo qualche settimana?
Credo che, emotivamente, sia stato molto più difficile tornare qui in Italia piuttosto che vivere l’esperienza in Africa. Il confronto tra la nostra realtà e la loro, una volta rientrato, era diventato molto più forte nella mia mente.
I tuoi prossimi progetti? Ci anticipi qualcosa?
Non posso dire molto, ma sto allargando i miei orizzonti anche nel mondo cinematografico. Ho partecipato alla produzione di uno short-movie a novembre e spero di poter ripetere questa esperienza in futuro, insieme ad altri reportage, ovviamente.
Per altri lavori di Alessandro Amico potete seguire la sua pagina Instagram: @amicoalessandro